Nuovo numero e nuova grafica

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È uscito da poche settimane  il nuovo numero monografico di «Ricerche Storiche» curato da Stefano Calonaci e Aurora Savelli. Il doppio numero è intitolato Feudalesimi nella Toscana moderna. Riproponiamo qui di seguito l’introduzione del fascicolo.

«I saggi qui raccolti – esito finale di un percorso che ha avuto una prima tappa nel seminario svoltosi a Siena il 5 dicembre 2013 – indagano il quadro dei feudalesimi del granducato di Toscana, un plurale indicativo della sostanziale diversità e ricchezza di situazioni che il volume intende restituire. La dimensione del feudalesimo moderno si è ormai imposta in tutta la sua complessità: studi come quelli di Aurelio Musi hanno aperto nuovi spazi d’indagine, così come quei progetti di ricerca che hanno guardato con occhio nuovo soprattutto ai feudi dei Regni dell’Italia meridionale, dove la presenza feudale, laica e ecclesiastica, acquisisce un valore strutturale nell’impianto dello Stato.

Nel caso del granducato gli studi sul feudalesimo datano la loro fortunata fase al decennio 1970-1980, con gli importanti lavori di Pansini, Fasano e Fosi. Se Elena Fasano valutava i feudi nell’ambito della costruzione dello Stato mediceo di Cosimo I, in un contesto storiografico che teneva al suo centro il processo di consolidamento e di funzionamento dello Stato, Giuseppe Pansini si soffermava soprattutto sui contenuti e i significati dei diplomi d’investitura, analizzando le prerogative lasciate al feudatario nell’equilibrio con i poteri comunitari. In anni non troppo successivi Irene Fosi studiava la documentazione inerente alcune cellule signorili, sfruttando il ricco archivio Salviati ma non solo, e indagando contestualmente le vicende di due località infeudate dello Stato Nuovo e il significato del processo di investiture dell’età di Ferdinando I. così, oltre a cogliere la criticità del governo feudale di Montieri e Boccheggiano, pertinente ai romani Capizucchi e poi ai Salviati, Fosi sottolineava come le infeudazioni corrispondessero a un programma di politica economica territoriale, almeno per Ferdinando I. Questi studi, con l’aggiunta del saggio di Von Aretin che, pur inerente i feudi imperiali italiani nel loro complesso dedicava ampio spazio alla Toscana, erano stati preceduti dai soli, ormai molto datati, lavori di branchi e Magni sulla Lunigiana feudale, pubblicati tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Trenta del Novecento.

In anni più recenti, dopo quelli di Biondi e Burgalassi su Pitigliano e i feudi dello Stato Nuovo, non sono mancati studi sul mondo feudale: si pensi al saggio di Vivoli sulle carte dei feudi, alla ricerca di dottorato del 1997 rimasta inedita di Pucci – e ad altri suoi studi sulla signoria vescovile di Murlo nel Settecento (con Filippone e Guasconi) – fino ai contributi di Hanlon su Montefollonico nello Stato Nuovo, usciti tra 2004 e 2007. Lavori, quelli di Hanlon, che si fanno carico di un approccio originale di storia sociale cara all’autore. A questi titoli va aggiunto almeno il volume collettaneo dedicato dall’Accademia di Scienze e Lettere “Giovanni Capellini” ai feudi di Lunigiana, curato da Fasano e Bonatti.

Non sembra tuttavia si siano ancora avviati, per la Toscana medicea e lorenese, un rinnovamento di prospettiva degli studi né una rinascita d’interesse per un tema dalle evidenti potenzialità, così come si registra per l’ambito transregionale dei feudi imperiali dell’Italia settentrionale, approfondito soprattutto dalle ricerche di Cinzia Cremonini e da quelle di Letizia Arcangeli sulle aristocrazie padane del Rinascimento; nonché per le realtà liguri e piemontesi, dove i feudi sono stati indagati sulla scorta delle consolidate acquisizioni della microstoria in merito ai contesti comunitari (Tigrino, Giana, Musso); o, tanto più, per i viceregni spagnolo e siciliano (Musi, Laudani, Cancila, Chavarria, Fiorelli, Noto, Cirillo, Covino e altri) dove il feudo rappresenta un elemento strutturale dello Stato. Né sarà da trascurare quanto il tema conti importanti e recenti titoli anche per lo Stato della chiesa (Visceglia, Forclaz, d’Amelia). Per la Toscana il feudalesimo d’età moderna resta indagato secondo percorsi che hanno trovato il loro baricentro nel processo di costruzione dello Stato e in quello delle riforme lorenesi (Diaz), con le dovute sfumature ed eccezioni; e non si sfugge all’impressione che l’idea di una marginalità del feudo nel granducato, presente all’interno dei primi pionieristici contributi già citati, abbia contribuito ad orientare gli studi sullo Stato regionale toscano in tutt’altre direzioni, che non è qui il luogo di ripercorrere.

I tempi appaiono tuttavia maturi per considerare i feudi non solo e non tanto nel rapporto con le magistrature centrali, ma soprattutto nella loro specificità e come straordinari specchi e collettori di temi storiografici, coagulo giustificato dal beneficio di forme di autonomia giurisdizionale e sostanziato dalla formazione di propri archivi, ricchi di documentazione di diversa natura (dalla corrispondenza tra i signori e i vicari feudali alle suppliche dei vassalli, dalle cause civili e criminali alle perizie confinarie e memorie relative ai beni comunitari o al demanio signorile, fino a comprendere atti dei consigli di comunità). Ne esce sfumata e arricchita una visione semplicemente oppositiva del rapporto tra il signore e gli organi di rappresentanza comunitari, in alcuni casi cooperanti con il potere feudale e dotati di un’evidente capacità di azione e di dialogo anche in virtù delle proprie prerogative economiche. La feudalità viene quindi valutata restituendola alla dimensione territoriale e all’esercizio concreto della giurisdizione, oltre l’ambito dei contesti cortigiani e dei codici cerimoniali. certamente non sfugge che l’estensione territoriale dei feudi toscani non fosse quella dei grandi feudi siciliani dei Moncada o dei Gravina principi di Palagonìa, comprensivi di ampie fette dell’isola incluse città feudali; tuttavia, se alcune delle realtà signorili toscane, soprattutto medicee, erano semplici unità monocellulari, altre avevano una loro articolazione interna non trascurabile. Si pensi al feudo di Santa Fiora con varie località dell’Amiata; all’importante feudo imperiale di Vernio, sul confine settentrionale tra granducato e la Legazione papale di bologna, formato da nove comunità sparse tra l’Appennino e la Valle del Bisenzio; alla contea della Gherardesca con Donoratico, Castagneto, Bolgheri, che racchiudeva aree di pianura e collina, ma anche un’importante porzione di litorale tirrenico. Murlo, signoria del vescovo di Siena, si estendeva su Murlo, Lupompesi, Resi, Crevole e altre piccole unità rurali incluse in una zona collinare e boscata piuttosto estesa e lontana dalla città. Nel complesso il quadro feudale toscano durante l’età moderna si caratterizza per essere non solo composito nella natura delle investiture, ma anche estremamente diversificato nell’esercizio giurisdizionale, geograficamente eterogeneo e, dato questo tutt’altro che trascurabile, storicamente mobile: alcuni feudi vengono devoluti, altri cambiano di famiglia, di nuovi ne vengono creati, alcune comunità tornano a essere inserite nell’apparato di governo mediceo, altre vengono sottoposte per breve tempo a governo signorile. Non è solo questa diffusa diversità a connotare il quadro feudale all’interno del granducato: i feudalesimi della Toscana moderna appartengono al più ampio contesto del feudalesimo ‘mediterraneo’, semmai caratterizzandosi per autonomia giurisdizionale e, in larga parte, fiscale. Si tratta, per dirla molto sinteticamente, di un feudalesimo al contempo integrato (rispetto alle dinamiche statuali, ma anche dinastiche) e dal profilo indipendente.

I saggi qui raccolti intendono dar conto sia della pluralità delle situazioni sia delle varietà degli approcci al tema ‘feudo’, nella consapevolezza che aspetti interessanti – per esempio proprio il peso di una feudalità ecclesiastica sopra evocata – sono rimasti nell’ombra, ma nell’auspicio che questi testi possano offrire spunto per ulteriori e successive messe a fuoco.

Nel più ampio quadro tematico indagato dai singoli lavori, risultano in primo piano: il complesso equilibrio tra etica di governo, giurisdizione interna e fedeltà ai sovrani di feudatari e signori territoriali dello Stato Vecchio (Calonaci); il rapporto economico e patrimoniale della famiglia Medici con i territori feudali del granducato e della Lunigiana (Parigino); il significato acquisito dal feudo nella storia familiare e nei percorsi di ascesa individuale (Zagli); il dialogo istituzionale tra i feudatari granduchi e la comunità in un marchesato di confine, conteso tra granducato e Stato della chiesa (Savelli); infine il nuovo impulso lorenese, letto attraverso l’azione di un giurista e la volontà di sistematizzazione della complessità del mondo feudale (Turrini), la conflittualità politica e diplomatica tra i feudatari imperiali e la dinastia lorenese nel caso dei bardi (Marcelli), l’affacciarsi di nuovi valori nobiliari accanto e in sostituzione di quelli prettamente feudali (Aglietti).» [S. C. – A. S.]

I feudi toscani possono rappresentare, adesso più che mai, un termine di confronto storiografico ricco di molteplici suggestioni, aprendo ad indirizzi di ricerca assai diversi e variamente percorribili per l’intero arco dell’Età moderna.

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