Un monografico dedicato al 150°

È da pochi giorni uscito il nuovo numero di “Ricerche Storiche”. Si tratta di un monografico curato da Francesco Catastini, Francesco Mineccia e Carlo Spagnolo intitolato Centocinquanta. Una storia d’Italia à la carte. Come il titolo suggerisce il fascicolo è dedicato alle recenti celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Troverete il sommario, gli abstracts e alcune informazioni sugli autori nella specifica sezione di questo sito (Ultima annata). Di seguito riportiamo l’introduzione.

CENTOCINQUANTA: UNA STORIA D’ITALIA À LA CARTE

Introduzione
di Francesco Catastini, Francesco Mineccia, Carlo Spagnolo

Con questo fascicolo ci proponiamo di offrire un primo, parziale e provvisorio bilancio storiografico delle celebrazioni del centocinquantennale. Altre riviste hanno già prodotto riflessioni sull’idea di nazione che si è celebrata; a noi è sembrato opportuno chiederci perché la nazione abbia assunto tanto rilievo non soltanto nella pubblica opinione, ma anche tra gli specialisti. Lo spettro della secessione, che ha suscitato lo sdegno di storici, cittadini e vertici istituzionali, potrebbe costituire una spiegazione parziale, considerato che con la chiusura delle celebrazioni si registra un suo temporaneo affievolimento mentre emerge la perdita di sovranità finanziaria dello Stato italiano. Siamo davanti ad una modifica più profonda del rapporto tra storiografia e politica? Esiste un legame tra separatismo, riduzione della sovranità e uso politico della storia? Il nostro sforzo è stato di contestualizzare l’anniversario cercando i nessi tra l’uso pubblico della questione della nazione e l’agenda della storiografia. La fine dei grandi riferimenti ideologici che un tempo orientavano il mestiere istituzionale di storico, in quanto interprete critico di storie nazionali in conflitto, apre dilemmi tra un ruolo difensivo della tradizione nazionale, che rischia l’autoreferenzialità, e “l’esegesi della liminarità globalizzata”, quella che Romano Luperini ha definito come un “passaggio dei confini, della tradizione, del dialogo, della pluridisciplinarità, della conoscenza critica della differenza”, tanto aperto al futuro quanto esposto all’effimero e alla precarietà.

Di questi orizzonti si trova qualche riflesso anche nei dibattiti che hanno preparato e attraversato l’anniversario. Così la crisi odierna dello Stato sollecita gli storici a ritornare ad antichi interrogativi sulla formazione di una cultura italiana prima dell’unità politica, sulla possibilità di fare storia di un sentimento di appartenenza ad una comunità “immaginata”, virtuale, subalterna ad altre sovranità.

Un passaggio epocale verso un nuovo assetto del potere mondiale solleva nuove domande alla storia europea che investono la periodizzazione canonica della storia italiana. Forse perciò l’analisi del dibattito storiografico può contribuire a chiarire come si è modificata l’interpretazione della nazione italiana mentre si consumava il precedente assetto del bipolarismo. In che misura l’Italia che celebriamo è un’anomalia rispetto al resto d’Europa, come sostiene una robusta tradizione insistente sulle carenze nostrane, e in che misura riflette invece problemi comuni all’intero continente? La ricerca affannosa di una fragile identità storica italiana quanto dipende dallo smarrimento di un progetto europeo? La cifra è quella di un paese che ha smarrito il filo della propria storia, dove ognuno può scegliere à la carte la storia che preferisce.

Per un primo bilancio ci è parso di dover affiancare il confronto implicito con le celebrazioni del 1911 e del 1961 con una più dinamica valutazione del centocinquantesimo anniversario nella storia repubblicana, per ragionare sulla parabola dell’antifascismo e sui suoi effetti sul legame tra storiografia e politica. Ulteriore attenzione meriterebbero gli effetti della democrazia dei consumi sul senso di appartenenza nazionale e l’incidenza del contesto internazionale nella crisi del welfare entro cui si avvia già negli anni Settanta il tramonto di una storiografia antifascista. Su questi ultimi temi la ricerca è in movimento e qualche timido segnale proviene da alcuni convegni svolti in occasione dell’anniversario.

Le celebrazioni del 2011 si contraddistinguono dalle precedenti per un’ampia partecipazione popolare a fronte di un impegno inferiore dello Stato. Tra gli aspetti da segnalare c’è il successo di pubblico di molte manifestazioni “patriottiche”, la sorprendente mobilitazione spontanea di associazioni, enti locali, scuole. Il Presidente della Repubblica ha già espresso le proprie positive valutazioni sul “risveglio di una coscienza unitaria e nazionale le cui tracce restano e i cui frutti sono ancora largamente da cogliere” (1). Forse si dovrebbe sottolineare maggiormente la differenza tra la coscienza di una storia comune e la costruzione di un’identità nazionale immutabile. L’identità nazionale è un progetto politico in cerca di legittimazione storica, per cui si oscilla tra la diffusa esigenza di riaffermare in positivo un senso di appartenenza e di coesione sociale e l’espressione di un’identità precostituita che selezioni gerarchie e appartenenze.

Il fascicolo si interroga sulla difficoltà della storiografia a sfuggire ai vincoli del discorso patriottico volontariamente assunto a riferimento per reazione alle pretestuose accuse mosse alla storia unitaria. L’enfasi sull’unità, in quanto comporta l’elusione dei conflitti e dei nodi più controversi della storia post-unitaria, ha lasciato ampio spazio alle contestazioni più radicali del Risorgimento e del percorso di progresso conseguito dall’Italia nel XIX e XX secolo. Di qui “una storia à la carte” in cui ciascuno sceglie un’identità nazionale di suo gradimento, ancorandola a un’origine sempre diversa e annullando la distanza tra passato e presente. Si rinuncia alla contestualizzazione in nome della criminalizzazione del passato, mentre le mode possono indurre all’appiattimento, abbandonando la ricerca di nuove categorie interpretative e di periodizzazioni non canoniche, capaci di rispondere alle nuove domande legate alla crisi dello stato nazionale.

È tempo di interrogarsi sul successo dei revisionismi, che traggono alimento dalle difficoltà della storiografia a rispondere alle nuove domande del secolo XXI. Di ausilio è indagare quale sia il senso comune della storia unitaria, le sue debolezze, i canoni diffusi legati al modo in cui essa è stata narrata e divulgata nei media. Qui si esplora un caso esemplificativo, come il racconto della storia nazionale nelle pubblicazioni a dispense di larga diffusione uscite nelle edicole. Quel tipo di narrazione divulgativa, pur non estraneo alle influenze dei dibattiti specialistici, appare oggi inscritto in un circuito in cui la storia diventa un ingrediente narrativo, non un’istanza produttrice di senso.

Un’altra chiave di lettura che attraversa i saggi è quella del declino, che individua un processo forse irreversibile per le pretese egemoniche dell’Occidente, ma se considerato come un dato di natura e non come un processo storico aperto potrebbe oscurare la comprensione delle trasformazioni in corso. In tal senso illuminanti risultano le osservazioni di Marcello Verga sulla recente decostruzione storiografica del paradigma della “decadenza” dell’Italia moderna nel Sei-Settecento. D’altra parte il declino è un orizzonte mentale che denota l’assenza di futuro, la difficoltà di affermare nuove tendenze e nuovi temi anche nella ricerca storica, penalizzata da una preoccupante carenza di investimento collettivo sulla formazione e sulla cultura. L’assenza di prospettive nel mondo della ricerca sta provocando una drammatica scissione generazionale e un solco tra passato e presente.

Per concludere, la nostra valutazione, suffragata anche da interventi di interlocutori provenienti da altri mestieri e discipline, è che le celebrazioni abbiano avuto una valenza positiva sul piano civile e politico, mentre più problematica appare la loro ricaduta storiografica. Su quest’ultimo piano si tratta di verificare quanto esse potranno stimolare nuovi modi di affrontare la storia nazionale, intrecciando storia culturale e storia politica. Nonostante il carattere inevitabilmente retorico delle manifestazioni, è un dato di fatto che queste abbiano costituito un’occasione di riflessione collettiva sulle fragilità del paese e sulla complessità della sua storia. Ed è proprio a partire da questo stimolo, che ha evidenziato non solo un sentimento di appartenenza, ma anche un diffuso interesse per il passato, che la storiografia dovrebbe rinnovare strumenti e modalità di rapporto verso un vasto pubblico non specializzato e condizionato dalla narrazione dei media.

(1) G. Napolitano, Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia, Milano, Rizzoli, 2011, pp. 9-10.

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